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Il Pavese tra le due guerre: I lavori contadini dell’inverno

  • Paola Montonati

frascarolo inverno museo contadinoAnche durante la stagione più fredda, nelle campagne non ci si fermava mai, in vista del ritorno nei campi in primavera…

L'autunno e l'inverno per i contadini della Lomellina erano i mesi dove la terra riposava, mentre nella cascina ci si dedicava  alla raccolta e taglio della legna, all'uccisione del maiale  e all'imbottigliamento del vino.

Il taglio del bosco

I boschi della zona erano tagliati, più o meno regolarmente, ad intervalli variabili tra i dodici ed i venti anni, secondo le specie di alberi presenti e le caratteristiche del terreno, che incidono in modo considerevole sulla crescita delle piante.

Individuato il bosco da tagliare bisognava contrassegnare le piante che non dovevano essere abbattute, operazione eseguita dalle guardie del Corpo Forestale dello Stato che utilizzando la vernice segnavano gli alberi da lasciare per garantire il ripopolamento del bosco.

La prima operazione da compiere per preparare il carbone consisteva nel procurarsi la legna necessaria, fase effettuata da settembre - ottobre fino alla fine di marzo o a metà aprile, quando nelle piante la quantità di linfa è particolarmente ridotta.

I boscaioli erano organizzati in šquadre numerose e potevano avere compiti diversi secondo il tipo di  lavoro, dove le mansioni più delicate erano quelle relative alla squadratura dei tronchi, al taglio delle traverse ed alla preparazione del carbone, incarichi che richiedevano esperienza e conoscenze specifiche, perciò spesso questi lavori erano svolti da squadre specializzate.

L’abbattimento degli alberi, la loro ripulitura ed il taglio della legna erano un tempo attività molto comuni dato che durante l’inverno i lavori in campagna erano molto ridotti, chi poteva andava  nei boschi per arrotondare le entrate.

L'imbottigamento del vino

Nel calendario contadino gli ultimi giorni di Quaresima, con la fine dell’inverno, erano destinati all’imbottigliamento del vino dell’anno prima.

L’imbottigliamento era un rito che iniziava con il lavaggio delle bottiglie, operazione prevalentemente lasciata alle donne, aiutate dai ragazzi , per rimuovere la patina del vecchio vino sulla parete interna delle bottiglie si usava acqua mista a sabbia agitando con energia.

Le bottiglie, sciacquate per bene, venivano collocate a collo in giù in cortile, al sole, ad asciugare, mentre i tappi di sughero venivano unti con olio d’oliva alcuni giorni prima dell’operazione, per ammorbidirli.

La tradizionale attività di imbottigliamento vedeva tre fondamentali strumenti,  la damigiana col sifone, la riempitrice o imbottigliatrice e la tappatrice.

La damigiana è un recipiente sferico in vetro soffiato con lungo collo cilindrico protetto da un cesto di metallo imbottito di paglia  e riparato da un cono di paglia intrecciata a cerchi concentrici, che serviva per conservare o trasportare il vino.

Per trasferire il vino dalla damigiana all’imbottigliatrice era necessario un tubo in gomma che fungesse da sifone, in modo da far giungere il vino nel serbatoio di carica.

In modo che la canna non pescasse nel torbido, si legava all’estremità da introdurre nella damigiana un ramo di salice o una canna di bambù che la teneva sollevata dal fondo.

Collegata alla damigiana con questa canna di gomma, il cui flusso veniva regolato dal galleggiante interno, la riempitrice o imbottigliatrice permetteva di riempire tre bottiglie senza spargimento di vino.

Quando le bottiglie erano piene, venivano passate alla tappatrice che consentiva, attraverso un meccanismo a leva azionato manualmente di stringere il tappo di sughero forzandolo entro una campana in ottone e di conficcarlo con un pistone nel collo della bottiglia, che era così perfettamente sigillata.

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