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Il Pavese tra le due guerre: Cesare Mori

  • Paola Montonati

cesare moriNon tutti sanno che a Pavia nacque l’uomo che fu tra i primi a sfidare apertamente la mafia in Sicilia

Cesare Mori nacque  il 22 dicembre 1871 a Pavia e passò parte della sua infanzia nel brefotrofio della città lombarda, dove gli diedero il nome provvisorio di Primo, che rimase poi il suo secondo nome, e il cognome di Nerbi, e fu riconosciuto ufficialmente dai genitori naturali solo nel 1879.

Dopo aver studiato a Torino presso l'Accademia Militare, fu trasferito in Puglia, a Taranto, dove conobbe la moglie, Angelina Salvi e, una volta  arruolato nella polizia, fu  chiamato dapprima a Ravenna, e poi, a partire dal 1904, in Sicilia, a Castelvetrano, località in provincia di Trapani. Qui Mori agiva con prontezza e vigore, adottando un modo di pensare e di operare inflessibile, rigido e deciso, sicuramente poco ortodosso, che fu ripreso più tardi in tutta la Sicilia e spesso fu denunciato per abuso di potere, ma le accuse nei suoi confronti si trasformarono sempre in assoluzioni. Strenuamente impegnato nella lotta contro la mafia, nel mese di gennaio del 1915 Mori fu trasferito a Firenze, dove assume la carica di vicequestore.

All'inizio della Prima Guerra Mondiale tornò in Sicilia, dove fu nominato comandante di squadre speciali finalizzate a sconfiggere il fenomeno del brigantaggio, in costante aumento soprattutto a causa dei renitenti alla leva.

I rastrellamenti ordinati da Mori si fecero notare per i metodi energici, ma ottennero risultati eccezionali.

Insignito della medaglia d'argento al valore militare, Cesare fu promosso questore, e trasferito prima a Torino, poi a Roma e infine a Bologna, dal febbraio del 1921 all'agosto del 1922, ma, intenzionato applicare in maniera inflessibile la legge, si oppose con fermezza allo squadrismo fascista.

Richiamato in Sicilia alla fine della primavera del 1924 direttamente dal ministero dell'Interno, fu nominato prefetto e spedito a Trapani, dove rimase per poco più di un anno, durante il quale decise di ritirare tutti i permessi d'armi e di nominare ) una commissione provinciale che si dedicasse alla concessione dei nulla osta per la guardianìa e il campieraggio, attività gestite dai mafiosi.

Anche nella provincia trapanese l'intervento di Mori ebbe degli effetti positivi, al punto da indurre Benito Mussolini a sceglierlo come prefetto di Palermo.

Insediatosi il 20 ottobre 1925, Cesare, noto come il Prefetto di ferro ebbe poteri straordinari, e la competenza sulla Sicilia intera, per provare a sconfiggere la mafia.

Il lavoro a Palermo durò fino al 1929, con una rigida repressione verso la mafia e la malavita locale, andando a colpire anche signorotti locali e bande di briganti, con metodi al di fuori della legalità.

Il 1 gennaio del 1926 ci fu l’assedio di Gangi dove, con l'aiuto  della Polizia e dei Carabinieri, Mori rastrellò il paese casa dopo casa, arrestando latitanti, mafiosi e banditi di vario genere.

Contemporaneamente all'azione della polizia, anche quella dei tribunali si inasprì nei confronti dei mafiosi, con figure di spicco come Antonino di Giorgio, ex ministro e generale di Corpo d'Armata, che, nonostante avesse  chiesto l'aiuto di Mussolini, fu  processato e pensionato in anticipo, oltre che costretto alle dimissioni da deputato.

Intanto le inchieste di Cesare furono indirizzate da circoli affaristici e politici collusi con la mafia verso Alfredo Cucco, deputato del Partito Nazionale Fascist, che nel 1927 fu espulso dal partito per indegnità morale, e costretto ad abbandonare anche la Camera.

Mentre durante il processo a Cucco gli avvocati dell'imputato ritrassero Mori come un persecutore politico, il Prefetto di ferro fu ammesso nel Senato del Regno.

In qualità di senatore, Mori si occupò ancora della Sicilia, ma in poco tempo divenne un emarginato.

A partire dal 1932, il senatore pavese scrisse le sue memorie, poi raccolte nel saggio Con la mafia ai ferri corti e morì a Udine il 5 luglio 1942, oggi la sua tomba si trova nel cimitero di Pavia.

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